Il problema che viene sollevato nel precedente post Effetto stroop e freccia è capire quando la linea comincia a indicare in quale dei due versi viene seguita.
Ho provato a proporre la questione a John Ptak, che ne sa molto. Mi ha risposto (spero non si arrabbierà se lo cito) :
«The index finger as part of an entire hand is seen often, especially in early works (through the Renaissance and into the Baroque) but I must say that I’ve not seen the arrow sign used in its place early, even in the 19th century. When looking at annotated works in the 19th century and earlier it’s mostly lines or dots or dashes and even the drawn finger/hand, but not arrows. Good question! I don’t have an answer, but I suspect that the use of the arrow is very (100-150 years?) recent».
A me pare di poter
ipotizzare che se linee non dirette per unire parti di un’immagine a un commento si ritrovano anche molto indietro nel tempo (in
Leonardo, in
testi d’ottica islamici d’un millennio fa, dove si confondono con svolazzi calligrafici, in altre immagini che Leonardo e Luciano stanno scoprendo), non pare semplicemente si sentisse il bisogno di specificare la direzione (e in effetti, se ci pensate, anche nei testi di oggi spesso
la freccia è del tutto inutile, la relazione spesso è bidirezionale – di sicuro, mi verrebbe da dire però, quando la freccia c’è punta sempre
dal testo
verso l’immagine, come a segnare una sorta di prevalenza gerarchica del testo? Tutte ipotesi traballanti da verificare).
La diffusione così pervasiva di una linea che impone, con un segno, di essere seguita da un primo a un secondo estremo, marchiati, parebbe risalire all’Ottocento. C’è il fatto che anche in meccanica (intesa come disciplina parte della fisica), lavorando di fatto su composizioni di forze, e quindi su una procedura in cui sarebbe ora impensabile non aiutarsi segnando frecce, non pare in origine ci fosse traccia di direzione, né che ne fosse sentito il bisogno. A sfogliare i Principia di Newton, in un’edizione antica, velocemente, non incappo in frecce (ma potrei averle perse, o potrebbero esserci in altre edizioni: non ho fatto uno studio!).
L’ipotesi allora sarebbe che nei testi di scienze fisiche e matematiche, pare che a metà Ottocento, a seguito di alcuni sviluppi in matematica, la freccia – per indicare direzione, successione, movimento… – diventa ubiqua. E di lì a poco, tutte le linee precedentemente senza direzione cominciano a diventare frecce: dai raggi ottici, alle linee usate per riportare una nota a margine al termine nel testo cui si riferisce, ai vettori, agli assi cartesiani, alla linea del tempo…
La domanda allora diventa anche: quando la freccia ha cominciato a essere introdotta nella notazione scientifica, per segnare vettori, linee di forza, relazioni? Ora è dappertutto, ma leggo per esempio in Florian Cajori, “A History of Mathematical Notations”, a proposito della notazione per il passaggio al limite, che:
«In England an arrow has been used in recent years in place of =. In 1905 J. G. Leathern of St. John’s College, Cambridge, introduced → to indicate continuous passage to a limit, and he suggested later (1912) that a dotted arrow might appropriately represent a saltatory approach to a limit. The full arrow is meeting with general adoption nearly everywhere».
E in questa pagina web, Earliest Uses of Symbols of Operation, gli esempi sono di nuovo novecenteschi.
Per la fisica, si possono cercare esempi in Google Books, senza pretesa di essere rigorosi, un piccolo campione per iniziare.
A pagina 273 di questo corso di meccanica del 1839 (Jean Victor Poncelet, Mécanique industrielle, Volume 1) ci sono degli esempi rozzi di frecce in questo ambito:

Tornando indietro, niente frecce nel 1758 (William Emerson, The principles of mechanics):

neppure nel 1803 (James Wood, The principles of mechanics):

ma gran frecce già nel 1866 (William Guy Peck, Elements of mechanics):

e in un corso del 1895 (X.Antomari, Course di Mecanique) ci sono frecce *ovunque*, da non sapere che pagina scegliere: 
Sfogliando proprio velocemente Michael J. Crowe, “A History of Vector Analysis”, e senza capire niente di quel che c’è dentro, mi pare comunque di ricavare il senso che il concetto di “vettore” (e dunque il concetto generale di linea con una direzione) emerga in matematica, dagli studi sui numeri complessi, nella prima metà dell’Ottocento.
«In the first paragraph of his memoir (1797) (Caspar) Wessel stated: “This present attempt deals with the question, how may we represent direction analytically; that is, how shall we express right lines so that in a single equation involving one unknown line and others known, both the length and the direction of the unknown line may be expressed.”
[…]
After stating that previously only oppositely directed lines could be represented analytically , Wessel suggested that it should be possible to find methods to represent inclined lines».
John Ptak mi ricorda che nell’Ottocento pare anche diffondersi il simbolo di implicazione logica (⇒).
Quand’è che il tempo diventa una freccia? Su Wikipedia, proprio come punto di partenza, trovo che fu un libro di Arthur Eddington del 1928 (“The Nature of the Physical World”) a popolarizzare il termine “time’s arrow”. Anche a John pare ragionevole un’origine novecentesca. Il paradosso, antichissimo, di Zenone metteva insieme tempo e frecce, ma con spirito assai diverso. Il cinema, e la sua magia di saper riavvolgere il tempo, possono avere avuto un ruolo; ma ancora di più, verrebbe da pensare, lo sviluppo del concetto fisico di entropia, altra creazione intellettuale del diciannovesimo secolo.
Ancora: quand’è che gli assi dello spazio cartesiano si sono appuntiti, all’estremità, in frecce? Non credo fosse così alle origini, e pare ragionevole, ancora, ipotizzare che le punte siano apparse nell’Ottocento, quando l’ordinamento di diversi insiemi di numeri diventa una questione scottante, se i miei ricordi scolastici non mi tradiscono. E mi chiedo ancora quando gli assi cartesiani cominciarono a essere usati fuori dalla geometria o dall’aritmetica, come ausilio per segnare successive osservazioni di fenomeni fisici.
Non so che offrire qualche spunto vago, senza rigore: spero che, lì fuori, qualcuno ne sappia di più, e ce lo voglia raccontare.
Enrico Poli
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A proposito di vettori,
ieri la lettura di questo post mi ha stimolato una certa curiosità. Ho fatto una ricerca superficiale per capire quando è stata introdotta la nozione di vettore e sembra che sia stato un certo sir William Rowan Hamilton. Su google books si trova “Lectures on quaternions” (la data di pubblicazione è 1853). Sfogliandolo velocemente si vede che le frecce sono utilizzate, ma in modo diverso da quello attuale: i vettori sono segmenti e la freccia è disegnata accanto per indicare il verso (quale è l’origine e quale la fine).
Ora, evidentemente dopo qualche anno (come nel Cours de Mecanique che citate) era già entrata la convenzione di usare la freccia come segno in grado di esprimere allo stesso tempo 1. direzione, 2. verso, 3. intensità; un’economia piuttosto notevole dal punto di vista della notazione.
Pensandoci ancora un poco mi è venuto in mente che la freccia è effettivamente molto versatile, e l’uso che se ne fa in matematica è un soggetto degno di attenzione già da solo, dal vostro punto di vista ‘sinsemico’:
la freccia appare varie volte con funzioni diverse e a seconda di dove è collocata (ma anche dal suo orientamento) assume un ruolo anche molto diverso.
Ad esempio, per indicare un vettore AB, si usa scrivere AB con una freccia sopra, in questo caso la freccia non serve ad altro che a denotare una cosa (le due lettere AB, che potrebbero essere un segmento) come ‘vettore’ (spero di usare il termine denotare in modo sufficientemente corretto), mentre nel caso della “rappresentazione” del vettore veicola informazioni qualitative e quantitative sul vettore stesso.
Nel caso del passaggio al limite (posto sotto lim) penso si possa dire che ha una funzione ancora diversa (forse è un verbo: “tende a”).
Poi mi sono ricordato che di recente ho visto un’altra freccia (Knuth’s up-arrow notation) che funziona, per quello che capisco, come un ‘operatore’. Come dice il nome è una freccia verso l’alto.
Trovo questo abbastanza significativo dal punto di vista dell’effetto della ‘collocazione spaziale’ di ‘elementi visivi’ al fine di comunicare.