In un brano di una video-intervista avvenuta a Urbino nel 2006, il semiologo Jacques Geninasca (1930-2010) distingue tre tipi spazialità, di rapporti con lo spazio: lo spazio euclideo/cartesiano, lo spazio mitico, lo spazio impressivo.
Nel farlo riprende la distinzione tra le diverse prese o “prensioni” di un testo estetico che proponeva in La parola letteraria (1997, trad. it. 2000): la prensione molare, la prensione semantica, la prensione impressiva o ritmica.
Isabella Pezzini dà una sintesi di queste tre categorie ne Il testo galeotto (2007) in particolare a p. 106, rimando il lettore alla lettura di quel testo (è disponibile on line).
Tornando all’intervista, lo spazio euclideo/cartesiano, definito da Geninasca “spazio della presa molare”, prevede relazioni unilateralmente orientate, differenziali, l’appartenenza dei punti ad un insieme (a appartiene a b), la sequenza rigida dei punti (a viene dopo b), è isotropo.
Lo spazio mitico non si può dividere, ma si può circoscrivere, ci sono degli strati, ad esempio cielo, terra, acqua.
Lo spazio impressivo prevede continuità, infinitezza, è uno spazio non isotropico, da una porzione all’altra cambiano gli orientamenti: le cose non si possono definire in modo rigido sul piano spaziale; Geninasca nell’intervista fa l’esempio di una notte stellata di Van Gogh.
Ieri sempre a Urbino si è parlato di mappe e cartografia: penso che la distinzione di Geninasca possa spiegare molto bene le diverse letture dello spazio che vengono date nel medioevo dai mappaemundi T-O
o dai portolani.
I primi rimandano ad uno spazio di tipo mitico, i secondi introducono uno spazio che, nei termini di Geninasca, è collegato ad una presa molare ed è tendenzialmente isotropo, anche se non siamo ancora di fronte ad una proiezione cartografica.
Leonardo Romei
Ciao Leonardo, con calma leggerò tutto. Un saluto, Carmine
Ciao Carmine, grazie! Così poi ne parliamo e mi fai sapere che ne pensi. Un saluto e a presto, Leonardo