La freccia, con cui rappresentiamo i vettori, è un segno in grado di dare informazioni diverse che dipendono dalla sua collocazione nello spazio: ci dà informazioni sulla grandezza, sulla posizione (l’origine, la retta su cui il vettore è posizionato) e sull’orientamento (in quale verso è orientato). È un segno molto efficace che sembra riassumere “naturalmente” le proprietà dell’oggetto matematico.
Per trovare l’origine di questa rappresentazione ho seguito lo sviluppo dei vettori descritto nella Storia del pensiero matematico di Morris Kline [1], partendo dai “quaternioni”, introdotti da William Rowan Hamilton come estensione dei numeri complessi: un quaternione è composto da una parte scalare e una parte vettoriale.
In Lectures on Quaternions (1853) [2], spiegando (se capisco bene) il significato del segno “meno” riguardo ai quaternioni (pag. 8), Hamilton introduce un disegno [Fig. 1] in cui rappresenta la posizione di un punto B rispetto a un punto A. Il semplice segmento era chiaramente insufficiente allo scopo, dato che non c’è nessun modo per capire quale dei due punti è il primo; per questo viene aggiunta una freccia accanto al segmento. La funzione della freccia è chiara quando Hamilton scrive che, per rappresentare la relazione inversa (ovvero il punto A rispetto al punto B) è necessario invertire la freccia, cosa che viene mostrata in un’altra figura [Fig. 2].
In questo primo esempio la freccia ha più o meno la stessa funzione che ha su un cartello stradale, come indicazione di una direzione.
Il secondo testo che ho considerato è Elements of Quaternions (1866, pubblicato postumo) [3]; è interessante perché (oltre ad avere molte figure), comincia proprio con lo stesso esempio citato sopra (del vettore AB e del suo opposto) e ci consente un confronto diretto di due modi diversi di rappresentazione: la freccia non è più disegnata accanto al segmento, ma è incorporata nel segmento [Fig.3]. È ancora più interessante se lo guardiamo “con il senno di poi”.
Un’altra immagine [Fig. 4] tratta dalla voce “quaternion” nella Chambers’s Encyclopaedia del 1868 [4] , ci mostra infine il vettore rappresentato come freccia nel modo a noi usuale. Se però la leggiamo a confronto con la figura precedente (e vediamo questa “con il senno di poi”) possiamo vedere la punta della freccia spostarsi dalla metà del segmento al suo punto terminale, ma in questo spostamento è sparito il segmento, lasciando solamente la freccia.
Anche se gli esempi sono pochi, credo che si possa ipotizzare un processo di “sintesi” del segno, durante il quale si è passati dalla freccia come segno aggiuntivo per denotare una direzione alla constatazione che la freccia stessa poteva assolvere a tutte le funzioni.
Daniele Capo
Note
[1] Morris Kline, Storia del pensiero matematico, Einaudi, Torino, 1999.
[4] Chambers’s Encyclopaedia.
In realtà ho trovato frecce di questo tipo anche in An Elementary Treatise on Quaternions (1867) di Peter G. Tait, ma mi sembra che siano usate perlopiù per un altro scopo: quello di indicare le rotazioni dei vettori.