Comunicazione visiva: un’ipotesi sulla dislessia

(Articolo di Chiara Mancini & Leonardo Romei apparso su Link Journal, nell’ aprile/giugno 2012)

Una visione più ampia della scrittura e della lettura, unita all’esperienza del tutoraggio a studenti dislessici, fa emergere prospettive interessanti per l’insegnamento, l’apprendimento e la sua verifica.
Il termine ‘dislessia’ deriva dal greco ed è composto dal prefisso ‘dys-’ – difficoltà – e dal lemma ‘λέξις’– discorso, parola, vocabolo –. Denoterebbe, quindi, una difficoltà legata alle parole. Più precisamente, il gruppo di lavoro dell’International Dyslexia Association, nel 2000, ha definito questo disturbo evolutivo come «una disabilità specifica dell’apprendimento di natura neurobiologica, caratterizzata dalla difficoltà a effettuare una lettura accurata e/o fluente e da abilità scadenti nella scrittura e nella decodifica. Queste difficoltà derivano da un deficit nella componente fonologica del linguaggio che è spesso inattesa in rapporto alle abilità cognitive e alla garanzia di un’adeguata istruzione scolastica».

La definizione rinvia, dunque, a una difficoltà di lettura e scrittura dei testi alfabetici e, in particolare, dei testi lineari. Ed è proprio sulla correlazione tra dislessia e linguaggio verbale che bisogna riflettere nella misura in cui questa non pregiudica in alcun modo l’efficacia di altre forme comunicative (la riflessione proposta nel presente articolo è pertinente anche rispetto alla discalculia, la disgrafia e la disortografia, altri disturbi che spesso si presentano in comorbidità con la dislessia evolutiva).

La storia da un lato e la nostra esperienza quotidiana dall’altro mostrano che i modi con cui l’uomo utilizza uno spazio grafico non coincidono con la scrittura alfabetica lineare.

La storia del pensiero è ricca di esempi – dal Liber Figurarum di Gioacchino da Fiore, al Sidereus Nuncius di Galileo, agli scritti di Leonhard Euler, alla tavola periodica di Mendeleev, fino ai diagrammi del fisico Richard Feynman –, che indicano come l’utilizzo di forme non lineari sia stato praticato come strumento per elaborare e condividere argomentazioni.

Nel corso della nostra vita incontriamo bollette, carte geografiche, libretti illustrativi, quotidiani, tavole periodiche degli elementi, mappe della metropolitana, diagrammi a barre, figure geometriche, sintesi visive di esperimenti scientifici, etc. Tutte forme in cui la scrittura è strutturata in modo non lineare e le parole e le immagini sono integrate senza possibilità di essere tradotte attraverso l’uso esclusivo di sequenze alfabetiche. Per questo tipo di scrittura, alcuni studiosi e progettisti (Antonio Perri, Giovanni Lussu, Luciano Perondi, Leonardo Romei) propongono di parlare di scrittura sinsemica.

La dislessia emerge in relazione ad una specifica visione della scrittura e della lettura, che fa da presupposto ad alcune forme di insegnamento e di verifica del sapere: trasmissione di concetti attraverso le parole dette e le parole lette, verifica attraverso scrittura di parole nella struttura predefinita di un foglio a righe.

Il legame privilegiato che intercorre tra alcune metodologie didattiche e il codice verbale ostacola il processo di apprendimento dei ragazzi dislessici perché lo vincola a un’attività di decodifica dell’informazione grafica, alla sua traduzione in un termine provvisto di una rappresentazione fonologica e di un’entrata lessicale e a una rapida comprensione della sintassi logico-verbale. Al contrario, un’attività didattica caratterizzata dall’adozione di testi sinsemici permette di aumentare la qualità dell’apprendimento di studenti dislessici, che, sovente, hanno una fruttuosa confidenza con la sintassi visiva.

A dimostrazione di ciò, l’esperienza del Centro Specialistico per l’Apprendimento A.M.P.I.A. – altri modi per insegnare e apprendere –. Il tutoraggio a studenti dislessici ha, infatti, comprovato l’efficacia, in termini di apprendimento e sviluppo armonico dell’intelligenza, di una didattica multisensoriale, incentrata sulle associazioni tra più canali (verbale-visivo, visivo-uditivo, etc.) e la conseguente integrazione tra comunicazione verbale e comunicazione visiva (schemi, mappe concettuali, linee del tempo, carte geografiche e immagini mentali).

Lo studio delle regioni italiane, ad esempio, può essere condotto attraverso l’elaborazione di un testo costituito dall’affiancamento della cartina fisica del territorio e di tante cartine tematiche quanti sono gli argomenti da trattare: demografia, clima, economia. Associando, inoltre, a ogni tema un colore specifico e collegando ogni area tematica con frecce veicolanti sia l’ordine espositivo, attraverso i numeri, che le connessioni logiche, attraverso l’uso dei connettivi, si aumenta sensibilmente la qualità della comprensione e si favoriscono, così, l’elaborazione e il processo di memorizzazione dei concetti.

Ancora, una poesia da memorizzare può essere tradotta in una sequenza di immagini, eventualmente associate a lettere, e intervallate da alcune parole secondo il modello del rebus (ad es. la parola colloquiali può essere tradotta figurativamente in un collo cinto dalla lettera Q e racchiuso da un paio di ali).

Infine, ogni argomento può essere concettualizzato sotto forma di mappa così da restituire i nessi logici fondamentali, spezzare la linearità del testo alfabetico e integrare in modo sinergico gli elementi verbali e quelli visivi (sotto tale rispetto risultano preziosi i software informatici).

Se il ricorso alla comunicazione visiva nella fase dell’insegnamento è fondamentale, non si è ancora indagato proficuamente l’ambito della verifica degli apprendimenti per capire se il testo visivo, oltre a dover caratterizzare la struttura delle prove di verifica, possa arrivare a contraddistinguere le risposte formulate dagli studenti dislessici.

La ricerca e l’individuazione di metodologie didattiche sinsemiche e polisensoriali sono, pertanto, opportune, posto che:

– la dislessia, come tutti i disturbi specifici dell’apprendimento, è intrinseca all’individuo e, quindi, resta presente per l’intero corso della sua vita. È bene mirare, così, “all’eliminazione delle conseguenze negative del disturbo” attraverso forme testuali capaci di farlo (C. Cornoldi,1999, Le difficoltà di apprendimento a scuola, Bologna, Il Mulino);

– i metodi usati per gli studenti dislessici risultano utili e familiari anche ai normolettori. Dunque, è tanto opportuno quanto strategico adottare una didattica unica e inclusiva per l’intero gruppo classe;

– la sinergia tra forme comunicative restituisce la complessità del mondo esterno e delle competenze affinate dal genere umano.

Chiara Mancini & Leonardo Romei

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